Diffamazione: il ruolo della provocazione e responsabilità civile
Tutela della reputazione e risarcimento dei danni
Cassazione civile , sez. III , 22/08/2024 , n. 23024: La sentenza ribadisce un principio chiave: in caso di diffamazione, la provocazione non annulla l’illecito civile, né può essere considerata come concorso colposo del danneggiato, a meno che non vi sia un nesso causale diretto e rilevante. Questo chiarimento tutela le vittime di diffamazione, affermando che l’autore della condotta illecita non può sottrarsi al risarcimento danni appellandosi alla provocazione subita.
Il caso: Tizio ha citato in giudizio Sempronio e Caio, rappresentante legale della società “I Teppisti dei Sogni Snc”, per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla pubblicazione di frasi diffamatorie sul sito web dell’azienda. Le affermazioni, ritenute lesive della reputazione artistica di Tizio, erano contenute in una lettera firmata da Sempronio.
In primo grado, il tribunale ha riconosciuto il danno alla reputazione di Tizio e condannato i convenuti al risarcimento di 200.000 euro. In appello, tuttavia, il risarcimento è stato ridotto a 15.000 euro. Insoddisfatti, Sempronio e la società hanno presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la provocazione di Tizio avesse causato o almeno contribuito al danno, rendendo inapplicabile la responsabilità civile.
La provocazione: scriminante o scusante?
La Cassazione ha rigettato il ricorso, chiarendo un punto fondamentale: la provocazione prevista dall’art. 599, comma 2, c.p. (stato d’ira causato da un fatto ingiusto altrui) non elimina la responsabilità civile del diffamatore. Tale norma esclude la punibilità penale, ma non rende lecito il comportamento offensivo dal punto di vista civile. Pertanto, il fatto resta qualificabile come illecito e suscettibile di risarcimento.
La Corte ha sottolineato che la provocazione può essere considerata una scusante, in grado di ridurre la colpevolezza morale dell’autore del reato, ma non cancella il carattere illecito dell’azione.
Concorso Colposo della Vittima: Quando Si Applica?
I ricorrenti hanno anche invocato l’art. 1227, comma 1, c.c., che prevede la riduzione del risarcimento se il comportamento colposo del danneggiato ha contribuito al danno. La Cassazione ha tuttavia escluso questa possibilità.
La provocazione di Tizio non è stata ritenuta causa diretta o concorrente del danno: la scelta di Sempronio di pubblicare contenuti diffamatori è stata valutata come un’azione autonoma, non influenzata in modo determinante dalle presunte condotte provocatorie della vittima.
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1. Il Tribunale di Agrigento, in accoglimento delle domande proposte con atto di citazione da Ro.Sa., ha condannato Ca.An., nella qualità di rappresentante legale della società I Teppisti dei Sogni Snc, e Fa.Gi. al risarcimento del danno non patrimoniale quantificato in € 200.000,00, oltre interessi e rivalutazione, con ordine ai predetti convenuti di eliminare dal sito internet www.iteppistideisogni.com le frasi ritenute lesive dell’immagine dell’attore.
Per quanto qui ancora di rilievo, il Giudice di prime cure ha ritenuto fondato il diritto dell’attore al risarcimento del danno per lesione della sua reputazione artistica e dell’immagine, causata dalla pubblicazione in data precedente al 1° giugno 2011, sul sopraindicato sito internet di proprietà della società convenuta, di una lettera aperta a lui indirizzata e di una successiva replica, entrambe attribuibili al Fa.Gi., nelle quali erano contenute affermazioni false e denigratorie che sminuivano il valore artistico del Ro.Sa., avendo descritto come insignificante la sua posizione all’interno del gruppo musicale “I teppisti dei sogni ” e avendolo offeso con espressioni come “ladro, subdolo, sleale, incoerente, bugiardo, portatore di mala sorte, privo di una voce degna del canto, non in grado di tenere il tempo e di eseguire due accordi in modo continuativo”; il Giudice di prime cure ha ritenuto infine che la riconosciuta responsabilità in capo ai convenuti assorbisse l’esame della domanda riconvenzionale da loro proposta.
2. Avverso la sentenza del Tribunale, hanno proposto appello la società I Teppisti dei sogni Snc e Fa.Gi.; l’appellato Ro.Sa. ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto.
La Corte d’appello di Catania con sentenza n. 1380/2021, in riforma della sentenza di prime cure, ha accolto parzialmente l’appello, con condanna degli appellanti al pagamento della minor somma di € 15.000,00 al Ro.Sa. e a rifondere in favore dell’appellato di un terzo delle spese di lite, compensandole tra le parti per la restante parte.
3. Avverso la sentenza della Corte d’appello, I Teppisti dei sogni Snc e Fa.Gi. hanno proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi; sebbene intimato, Ro.Sa. non ha ritenuto di svolgere difese nel giudizio di legittimità.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c.
1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2056 con riferimento all’art. 1227 c.c. e la violazione e falsa applicazione dell’art. 599 del c.p.; in particolare, sottolineano che l’esimente della provocazione nel delitto di diffamazione può elidere, non soltanto la punibilità del fatto, come ritenuto dalla Corte d’appello, ma possa addirittura scriminarlo in radice, sicché la condotta reattiva alla provocazione sarebbe scevra ab origine dalla connotazione di illiceità, senza che ne consegua l’obbligazione risarcitoria; richiamano un precedente di questa Corte (n. 22541 del 2019) in merito ad una fattispecie simile, e sottolineano la sussistenza delle provocazioni poste in essere dal Ro.Sa., plurime e reiterate nel corso degli anni (ad es. lesione del marchio di cui erano titolari gli odierni ricorrenti); impugnano altresì la parte della decisione in cui la Corte d’appello ha escluso l’applicabilità dell’art. 1227, comma 1, c.c., concernente la diminuzione della misura del risarcimento del danno in caso di concorso colposo del fatto del danneggiato, alla provocazione da parte della persona offesa del reato.
2. Con il secondo motivo di ricorso deducono, in relazione “all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, costituito dall’aver rimosso dal sito le missive de quibus già dalla data del 9 maggio 2012, rimozione che ha una sua incidenza sia in ordine all’an sia al quantum del risarcimento e lamentano, in proposito, di aver allegato prove orali, che sono state disattese e che la circostanza non è stata affrontata dai giudici di merito.
3. Con il terzo motivo di ricorso deducono, inoltre sempre in relazione “all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” costituito dall’aver ritenuto che costituisse espressione oggettivamente infamante quella di “artigiano del campo dell’edilizia” e contestano l’errore della Corte d’appello nell’aver omesso di valutare tale circostanza.
4. Con il quarto motivo di ricorso deducono, infine, ancora in relazione “all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” costituito dall’aver ritenuto che costituisse notizia non vera quella contenuta nella missiva cui gli odierni ricorrenti facevano riferimento al disconoscimento della paternità del Ro.Sa. di un elenco di brani musicali, paternità che, in due diversi giudizi (tra Ro.Sa. e Ar.Mi. e tale Av.), era stata definitivamente esclusa e non attribuibile al Ro.Sa.
5. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Nella fattispecie in esame, la Corte d’appello con motivazione piana e adeguata, da un lato, ha spiegato, richiamando quanto da questa Corte affermato in materia (Cass. Sez. 1, 4/02/2016 n. 2197), come la provocazione di cui all’art. 599, comma 2, c.p., escludendo la punibilità del reato di diffamazione ma non anche la natura di illecito civile del fatto, né la conseguente obbligazione risarcitoria del danno subito dal soggetto leso, si configura non tanto come esimente ma quale scusante, idonea ad eliminare solo la rimproverabilità della condotta dell’autore del fatto in ragione delle motivazioni del suo agire, pur restando il fatto imputabile a titolo di dolo e, dunque, illecito (pag. 5 della sentenza impugnata) come, del resto, avvenuto nel caso in esame e accertato dai Giudici di merito.
Dall’altro lato, la Corte d’appello ha escluso nell’ipotesi di provocazione da parte della persona offesa del reato l’applicabilità del meccanismo di cui all’art. 1227 c.c., concernente la diminuzione della misura del risarcimento in caso di concorso del fatto colposo del danneggiato, in quanto la determinazione dell’autore del delitto, di tenere la condotta illecita che colpisce la persona offesa, costituisce causa autonoma del danno, non potendo ritenersi che la consecuzione del delitto al fatto della provocazione esprima una connessione rispondente ad un principio di regolarità causale. Ed anche su tale aspetto, la Corte d’appello palermitana si è posta in linea con i principi espressi da questa Corte al riguardo (Cass. Sez. 3, 18/10/2005 n. 20137; Cass. Sez. 3, 23/03/2016, n. 5679).
I ricorrenti al riguardo si limitano a contestare la decisione impugnata senza offrire convincenti elementi di novità idonei a scalfirne le argomentazioni né tantomeno a porre in discussione gli orientamenti espressi da questa Corte cui quelle argomentazioni esplicitamente si riferiscono e ai quali va data continuità, risultando inidoneo, a tal fine, il perplesso richiamo (“su tale falsariga parrebbe porsi”), a supporto della propria tesi, a un isolato precedente (Cass. n. 22541 del 25/09/2019), riferito ad altro contesto e ad una del tutto peculiare situazione in fatto, come in quella decisione espressamente specificato.
In realtà, peraltro, nonostante la sua formale intestazione, il motivo, lungi dall’introdurre un vizio di violazione e falsa applicazione delle norme indicate, è volto a richiedere a questa Corte, inammissibilmente, un diverso accertamento di fatto, contrapposto e alternativo rispetto a quello già compiuto dal giudice di merito ed una diversa lettura delle risultanze probatorie.
Giova rammentare che questa Corte ha più volte affermato che non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; invero le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (tra tante: Cass. Sez. 3, 4/03/2022 n. 7187; Sez. 1, 5/02/2019 n. 3340; Cass. Sez. 1, 13/10/2017 n. 24155; Cass. Sez. 5, 30/12/2015 n. 26110).
In definitiva, parte ricorrente censura la ricostruzione dei fatti e l’apprezzamento delle prove compiute dalla Corte d’appello e omette di considerare che esso apprezzamento è attività riservata al giudice del merito cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. Sez. 3, 4/07/2017 n. 16467; Cass. Sez. 1, 23/05/2014 n. 11511; Cass. Sez. L, 13/06/2014, n. 13485; Cass. Sez. L, 15/07/2009, n. 16499).
6. I motivi dal secondo al quarto del ricorso possono essere congiuntamente esaminati prospettando la stessa censura ovvero il preteso omesso esame, seppur con riferimento a “fatti” diversi, e vanno disattesi perché anch’essi inammissibili per le seguenti considerazioni.
In disparte l’erronea indicazione della censura formulata in relazione “all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.“ e non rispetto all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., va osservato in via generale, che i ricorrenti nel denunciare “l’omesso esame” non tengono conto che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra tante: Cass. Sez. 6 – L, 8/11/2019 n. 28887).
In particolare, già dalla prospettazione della triplice censura sulla pretesa omissione lamentata (ovvero: 1) la asserita mancata considerazione dell’avvenuta rimozione dal sito delle missive de quibus già dalla data del 9 maggio 2012, 2) l’aver ritenuto che costituisse espressione oggettivamente infamante quella di “artigiano del campo dell’edilizia”,3) la verità accertata in successivi giudizi della non paternità di alcuni dei brani contenuti nell’elenco dei brani disconosciuti come non appartenenti a Ro.Sa. indicati in una delle missive pubblicate sul sito) risulta evidente che essa si concreti effettivamente e nella sostanza in una doglianza volta alla complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito e rimessi al suo discrezionale apprezzamento, insindacabile in sede di legittimità, ove adeguatamente motivato (con precipuo riferimento al nesso causale, Cass. Sez. 3, 29/09/2021 n. 26304).
Del resto, la Corte palermitana ha adeguatamente spiegato – evidentemente in base ad un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede – che, da un lato, in merito ad alcune espressioni non si ravvisavano gli estremi della diffamazione, tenuto conto che riguardavano fatti veri, come l’appropriazione di marchi, accertati in altri giudizi oppure perché, sebbene i toni fossero critici e pungenti, risultavano giustificati dal diritto di critica. Dall’altro che, viceversa, alcune frasi erano “palesemente diffamatorie” perché concernenti fatti non veri come l’accusa di essersi appropriato di canzoni e pezzi musicali non suoi, tenuto conto che era stato accertato giudizialmente che Ro.Sa. era l’autore esclusivo di alcuni brani musicali che hanno reso famoso il gruppo e che alcune frasi erano oggettivamente denigratorie, gratuite e pregiudizievoli (pagg. 7 e 8 della sentenza impugnata).
A quanto precede va aggiunto un ulteriore profilo di inammissibilità dei motivi in scrutinio, in quanto gli stessi difettano pure di specificità, non essendo stati riportati, nel loro tenore testuale e per la parte rilevante in questa sede, gli atti e le sentenze in essi indicati, neppure essendo stato specificato dove e quando tutti tali atti siano stati prodotti nel giudizio di merito e dove essi siano ora reperibili e non essendo, peraltro, essi stati indicati in ricorso come allo stesso allegati.
7. Da ciò discende la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Nulla si dispone in ordine alle spese del giudizio di legittimità, stante che l’intimato non ha ritenuto di svolgere difese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell‘art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile il 23 febbraio 2024.
Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2024.